Palazzo Venart, di Venezia e Anima.
Nel mio immaginario, sin da bambina, Venezia è insieme a Roma la città italiana che mi ha sempre ispirato di più. Anche quando non le avevo ancora mai viste, dentro di me sapevo che entrambe le città avrebbero in qualche modo segnato la mia vita. Sono stata profetica. Venezia è entrata nella mia vita ultimamente in maniera profonda e ho avuto modo di riscoprirla, di riviverla, di amarla molto e di lasciarmi cullare e trascinare dai suoi ritmi speciali e unici.
Chi non sogna di avere una casa a Venezia, un luogo magico in cui riporre sogni e desideri, in cui lasciare scorrere il tempo calmo, scandito assieme alle maree, in cui perdere lo sguardo nella magnificenza di palazzi antichi che si specchiano, alteri e consapevoli della loro bellezza, nei canali?
Palazzo Venart è un sogno che si trasforma in realtà nella mente di un visionario e poetico imprenditore cinese, Mister Chang, che lo riprende con cura e delicatezza donandogli ancora nuovo respiro, senza farne perdere la memoria storica e l’attitudine, magica, di antica dimora veneziana.
Palazzo Venart è così, come ciò che non deve ostentare perché sa bene di essere magnifico, appare d’incanto aggirando una calle con il suo portone in ferro battuto e tu pensi che si, sei arrivata: semplicemente varchi il portone ed entri a casa. Il profumo e la luce soffusa fanno rallentare i battiti, gli occhi si abituano a tanta bellezza e l’anima si adagia, spogliandosi della quotidianità intrisa di stress e lasciandosi pulita.
A Palazzo c’è un padrone di casa che ti accoglie con sorrisi caldi e storie di una vita trascorsa in mezzo all’Hotellerie in cui il lusso si sposa alla cultura: il Direttore Angelo Rizzi – la terminologia General Manager non si sposa perfettamente con questo luogo – conquista chiunque e i suoi ospiti non sono mai clienti, ma abitanti di Palazzo Venart. L’aperitivo privato assieme a lui lo conserverò come un ricordo che non vedo l’ora di ripetere.
Mi aggiro tra scaloni sontuosi, salotti nascosti, grandi finestre da cui si vede incedere nella sua maestosa lentezza il Canal Grande, entro nella mia suite, Tiziano. Ogni suite, sono diciotto, è diversa dall’altra, ogni angolo racconta la sua storia: se resti in silenzio puoi ascoltare echi lontani e tornare indietro nel tempo, è tutta magia che si avvera.
Il Ristorante Glam, uno dei fiori all’occhiello di Chef Enrico Bartolini, è uno scrigno dorato, luci avvolgenti e mise en place raffinate. C’è Chef Donato Ascani che fa gli onori di casa, con quel bel sorriso e il profumo di buono stampati addosso. Ancora torno indietro nel tempo e mi immagino le cucine sempre in attività, i camini accesi, l’odore del fuoco e del pane, del burro e dei risotti. La cena è stellata di nome e di fatto, ogni piatto accompagnato da un vino diverso scelto dal Sommelier Luciano Palmieri, incanto per il palato ogni piatto e menzione speciale alle due firme degli chef: il Risotto alla rapa rossa e gorgonzola di Bartolini e la Seppia affumicata al mirto di Ascani. Scenografia anche per gli occhi.
Non solo la cena è stellata, ma anche la colazione, una carta che strizza l’occhio alla golosità e che non lascia scampo: tutto davvero buono e davvero bello, perché qui è un’armonia continua di vista, olfatto e gusto. Poi via, a scoprire angoli segreti, a passare da San Marco e da Rialto perché non se ne può – ne se ne vuole – fare a meno, a camminare per chilometri di calli e tra i canali sino alla Biennale, per godersi gli ultimi giorni di apertura e un tramonto stupendo.
Tornare, dopo aver vissuto la città, non è altro che godersi un bagno caldo e lussuoso, posare un libro prezioso dentro la libreria del piano nobile accanto alla mia porta, ordinare un the e lasciarsi avvolgere dal tepore di casa. Lo scrivevo prima, qui l’anima si trasforma.
L’anima torna a casa in un luogo che non è tempo, non ha tempo. Casa è dove il cuore rallenta e si ascolta. Casa è dove ci si spoglia di tutto.
E si ama.