Sonja Caramagno, professione Mental Coach
Sonja Caramagno è una donna che ti conquista con lo sguardo. Quando la incontri la prima volta ti rendi conto che i suoi occhi sorridono, ti scrutano e ti studiano, ma con molta discrezione e dolcezza. La sua pacatezza e il suo modo di parlare, a bassa voce, ti fanno venire voglia di parlare con lei a lungo, di ascoltare le sue storie e la sua vita, decisamente particolare. Perciò mi è piaciuto intervistarla e raccontarla insieme alla sua professione decisamente particolare, il Mental Coach. Il suo essere una donna speciale è dato anche dalla pazienza epica con la quale ha atteso che io pubblicassi questa meraviglia, con mesi di ritardo!
Partiamo dalla fine: che cos’è un mental coach e qual è il suo ruolo e il suo compito.
Un coach, con aggiunta di “mental” soprattutto in ambito sportivo per separarlo dal tecnico o dall’allenatore, è una figura nata alla fine degli anni ‘60 negli Stati Uniti, ad opera di Timothy Gallwey. In Italia il Coaching si è diffuso in tempi relativamente recenti, ossia da circa 20 anni, e affonda le sue radici inizialmente nello sport. Dallo sport ha trovato una naturale applicazione prima in ambito aziendale, e nel tempo anche in ambito privato, in tutte le sue sfaccettature.
Il coaching, secondo ICF (International Coach Federation) la più grande organizzazione al mondo di coach professionisti, di cui faccio parte e aderisco seguendo le linee guida e applicando le competenze chiave, “è una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale”. Quindi, attraverso domande cosiddette “potenti” e forme di comunicazione diretta, il coach affianca il cliente nel percorso di raggiungimento del suo obiettivo. Non giudica, non valuta e si pone sempre in una posizione neutra. Crede nelle risorse personali del suo cliente e nella sua creatività.
Da dove vieni? I tuoi studi, il tuo percorso di vita. Da dove sei partita per fare la mental coach?
Sono nata a Catania e sono profondamente legata alle mie radici. Nonostante il mio forte senso di appartenenza però, ho scelto di proseguire i miei studi universitari alla Cattolica di Milano e ho conseguito una Laurea in Economia e Finanza. Una settimana dopo la laurea ero già a Parigi per uno stage in all’OCSE seguendo il tavolo dei lavori inerenti i progetti internazionali di Cooperazione e Sviluppo. Concluso lo stage mi sono trasferita in Guatemala per seguire una progetto europeo di sviluppo di una comunità di indigeni Maya. Oggi e da circa 15 anni, vivo a Roma e mi sposto molto per lavoro.
Ho sempre amato la dimensione del viaggio e soprattutto la possibilità di conoscere “l’altro” per capire quali fossero i meccanismi e le dinamiche per esprimersi al meglio. A quindici anni chiesi a mia mamma di poter studiare Psicologia, è indiscusso che le passioni poi ritornano, per cui dopo un primo percorso lavorativo in ambito economico mi sono avvicinata al coaching frequentando un Master con Giovanna Giuffredi di Life Coach Italy a Roma, ho studiato a Madrid direttamente con Timothy Gallwey, il padre del coaching moderno e apprendendo la sua teoria sul “The Inner Game” . Il mio lavoro si basa su uno studio continuo costante e quotidiano, perché le competenze e la conoscenza della materia per me sono alla base.
Oggi sono un Professional Certified Coach (PCC) secondo le linee ICF, un Inner Game™ Pratictioner e un Professional Certified mBIT Coach. Tante sigle, ma tutte volte all’acquisizione di tecniche e strumenti di coaching per contribuire al raggiungimento degli obiettivi dei miei clienti.
Qual è stata la tua sliding door che ti ha portata a fare ciò che stai facendo con passione e tanta professionalità?
Il momento in cui ho deciso di cambiare, che non è arrivato improvvisamente, è stato frutto di una riflessione lenta e maturata nel tempo. Lavoravo per una società che si occupava di scrivere progetti integrati di formazione per grandi aziende, da catene alberghiere a case ospedaliere, e io mi domandavo ogni giorno: “Perché non erogo io questo corso? Perché non sono io a tirar fuori dalle persone il loro meglio? “ e via via queste domande crescevano dentro di me. Un giorno mi sono detta che non sarei riuscita a vivere con questo rimpianto, per cui individuato il coaching come metodologia di sviluppo e crescita personale che sentivo più in linea con me stessa, ho iniziato a frequentare un primo Master e da li sono partita.
Il tuo primo lavoro da Mental Coach
Collaboro oramai da anni con un amico e collega preparatore atletico del gruppo sportivo delle Fiamme Gialle, Gianpaolo Quarta, il quale all’inizio della mia carriera mi ha segnalato un suo atleta, campione pluripremiato nella disciplina del Karate, in quanto stava attraversando un periodo difficile. Mi comunicava pertanto che da li a breve l’atleta mi avrebbe contattato per fissare un primo incontro conoscitivo e esplorativo. L’ho seguito per circa sei mesi (che è il periodo medio di un percorso individuale di coaching) ed è passato dalla convinzione di voler mollare lo sport che amava a conseguire il secondo posto ai Mondiali. Per me è stata una soddisfazione vederlo riappropriarsi delle sue risorse e riscoprire la passione per il suo sport, che nel tempo aveva perso.
C’è un episodio che ti è rimasto dentro e ti ha fatto capire che questa è davvero la vita che vuoi fare?
Di episodi ce ne sono stati diversi, forse uno in particolare mi ha lasciato il segno. Ho sviluppato per alcuni anni percorsi individuali di coaching per conto di una casa farmaceutica con figure aziendali di diversi livelli. In particolare ho seguito una persona che aveva difficoltà a comunicare se stessa, le sue intenzioni, i suoi desideri sia verso i capi, verso i suoi pari e a volte anche con i clienti. Partendo da questa consapevolezza, ha desiderato che la affiancassi nel miglioramento delle sue abilità comunicative, che avrebbe ritenuto pertanto migliorate se avesse sentito in lei serenità e fluidità nel confronto con l’altro. Alla fine dei sei mesi non solo ha raggiunto il suo obiettivo, ma soprattutto ha smesso di prendere il Gaviscon! Non più bruciori di stomaco! In quell’occasione come in tutte le altre, in occasione di ogni singola sessione, sento una felicità interiore e una soddisfazione che non riuscirei a sentire in nessun altro mestiere. Essere coach è la mia mission personale, il mio posto nel mondo.
Tu lavori nello Sport. Perché? C’è un motivo particolare per cui sviluppi il tuo lavoro in questo settore?
Sono una sportiva dall’infanzia, sono figlia di un giocatore di calcio e io stessa giocatrice di calcio a cinque femminile, confrontandomi con squadre sia di livello regionale che nazionale. Sono convinta che l’ambiente sportivo sia il migliore per liberare le proprie energie. Inoltre è un banco di prova per sperimentare nuovi modi di concentrazione, focalizzazione, miglioramento e sviluppo delle prestazioni fisiche e mentali. Sono risorse che saranno utili per confrontarsi con se stessi e con la vita. Lo sport si sviluppa prevalentemente all’aria aperta ed io amo vestirmi in abiti sportivi: tuta, pantaloni comodi e scarpe da ginnastica e mi sento a posto! Oggi erogo anche Corsi avanzati di Sport Coaching con la società Life Coach Italy, per trasmettere strumenti e tecniche ad altri coach, o anche ad atleti, preparatori atletici e tecnici che vogliono conoscere meglio la nostra metodologia e crescere anche in termini di preparazione mentale.
Il Golf è la disciplina nella quale stai dando il tuo supporto lavorativo. Come sei arrivata a questo sport?
In realtà un po’ per caso come spesso succede. L’ex storico di una mia amica era un giocatore di golf e al termine di un periodo difficile della mia vita in cui perdevo mio padre, gli ho chiesto se potevo seguirlo in una gara: sarebbe stato uno scambio di sapere! In maniera del tutto inaspettata lui ha accettato. Ho cominciato a seguirlo sia in gara e sia in occasione di giri di campo di allenamento, e più lui migliorava più io capivo quali fossero le caratteristiche mentali maggiormente rilevanti per un giocatore di golf, con quali difficoltà doveva confrontarsi e a cosa era esposto durante le 5 ore in campo. Trovo il golf uno sport affascinante da un punto di vista tecnico perché è elegante e complesso al contempo, e perché poi richiede una stabilità emotiva e mentale che pochi altri sport possono vantare.
Raccontami del progetto che stai seguendo adesso con il Golf
Da più di un anno seguo un progetto di crescita e sviluppo del Team dei Talents del Marco Simone Golf Club. E’ un circolo che fa base Roma, di proprietà di Lavinia Biagiotti, e che ospiterà nel 2020 la rinomata Ryder Cup. I ragazzi hanno un’età compresa tra gli 8 e i 17 anni e insieme ai due maestri Gianluca e Stefano Pietrobono e ai preparatori atletici Carlo Maria Rocca e Simonetta Celindano, li seguiamo sotto ogni aspetto. Per me è tutto molto sfidante da ogni prospettiva sia perché sono giovani atleti e stanno scrivendo il loro futuro sportivo personale e professionale, sia perché fanno parte di un progetto a respiro più ampio quale la realizzazione della Ryder Cup nel circolo che rappresentano, e chissà se uno di loro potrà parteciparvi!
Cosa vuoi fare da grande?
Bella domanda! Io continuerò ad essere un coach in ambito sportivo perché mi piace e sento che è il mio posto naturale. In aggiunta a questo, un desiderio che ho sempre nutrito è di seguire CEO, imprenditori e politici influenti che possono cambiare davvero le sorti economiche e sociali del nostro Paese. In una recente intervista una mia collega scriveva che “con il coaching ognuno può diventare più forte, equipaggiato, più bravo nella vita. L’effetto collaterale del coaching, lo metto per iscritto, è la felicità”. Trovo che questo sia un concetto cardine per chi svolge il nostro mestiere e, per tornare al mio desiderio, chiudo con una frase di Buddha: “Migliaia di candele possono essere accese da una sola candela, senza che questa ne risulti intaccata. La felicità non diminuisce quando viene condivisa”.