Editoriale Dicembre 2017 – Je Suis Spelacchio
Dicembre. Che già di fatto volge al termine, ma io con i miei editoriali si sa che rispetto il mese e non il giorno. Un dicembre strano e con bagliori di luce. Sto imparando a lasciarlo andare, ma ci sono giorni in cui è più semplice farlo, giorni meno.
Intanto a Roma è arrivato Spelacchio con il suo carico di ironia talvolta sguaiata, e la dolcezza mescolata a tristezza dei suoi rami spogli e vestiti alla bene e meglio con lucine e palle argentate. A me Spelacchio sta simpatico e fa tenerezza. Guai a chi me lo tocca.
Quest’anno è diverso, ma l’anno scorso ero io Spelacchio. Spoglia e triste, vuota e insignificante, e pure senza uno straccio di lucina addosso. Uno zombie. Ero invisibile e trasparente, ma almeno non ho ricevuto tutte le malignità che piovono addosso a questo povero alberello. Tutti a deriderlo, ma siamo sicuri che tutti noi non siamo mai stati almeno una volta come Spelacchio? Poi giro per la città eterna e noto che a qualcuno la questione delle luminarie è sfuggita un po’ di mano.
Ma la mia mente va a Spelacchio e mi commuovo sempre un po’. Siamo tutti parte di questo mondo patinato e perfetto – e d’altronde scrivo io che ci sono dentro sino al midollo – e diventiamo intolleranti alle debolezze altrui. E giudichiamo con una tale facilità, ci indisponiamo, ci mascheriamo dietro la ricerca della spiritualità e del mantra orientale e delle fonti energetiche e delle vite passate e del buddismo, e alla fine siamo tutti semplicemente un bel po’ stronzi.
Vittime e carnefici al tempo stesso, e passiamo con estrema facilità da una parte all’altra e nemmeno ce ne accorgiamo più. L’ho fatto anche io, e ho pianto lacrime molto amare.
Vedi una persona fisicamente non consona alle aspettative non dico patinate, ma dell’immaginario che ci vuole tutti rasenti alla perfezione. La vedi con un carattere un poco su dalle righe, sembra quasi una macchietta e ti viene da ridere, senza cattiveria, ma in cuor tuo sghignazzi. Poi viene fuori che pochi mesi fa ha passato un dramma tremendo, e te lo racconta con semplicità. E ti senti una vera merda. Ho pianto perché mi rendo conto che è talmente vero che ognuno nasconde una pena di cui noi non siamo consapevoli, eppure ci caschiamo sempre nel luogo comune della derisione.
Quindi, per farla breve, sentiamoci tutti un po’ Spelacchio. Siamo grati a coloro che ci hanno notato e ci hanno abbracciato con delicatezza e amore quando eravamo le persone più invisibili del mondo. E io lo so che accade, eccome se lo so.
Al posto di fare tante stories su Instagram dove professiamo l’amore per qualsiasi essere vivente e poi a telecamera spenta ci avveleniamo con chiunque, cerchiamo più coerenza. Al posto di farcire le bacheche di Facebook con cani randagi e frasi sull’illuminazione divina, portiamo più rispetto per le idee del prossimo.
Spelacchio è la metafora dei nostri giorni, è il capro espiatorio delle nostre frustrazioni e ci dimentichiamo che ognuno di noi, nella Vita, ha avuto il suo “momento Spelacchio”.
Forza, lasciamo andare, ammorbidiamoci.
Ho pensato in questi giorni a me bambina, alla mia famiglia, a mia sorella e al suo bambino. Ho pensato a me adulta, con la vita che si è rovesciata in pochi anni. Ho pensato ai tanti alberi di Natale di questi 43 anni. Ho pensato agli alberi che ho amato, desiderato, che ho odiato, che non ho più fatto dall’anno scorso.
Ho adottato Spelacchio, lui è il mio tenerissimo albero di Natale.
Gli ho chiesto di farmi imparare, con calma e pazienza, a volere di nuovo bene a dicembre.
Photo Credit Ferdinando Potenti
Location Mirabelle Splendide Restaurant, Roma